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La vendetta del rimorso – Parte 3

Svanito l’oste, il pistolero ripose il suo revolver. Aggirò il bancone impolverato e controllò le bottiglie esposte sulla credenza.
Sentiva dietro di sé lo sguardo degli altri avventori e i loro sussurri incomprensibili, che sfidavano i lugubri ululati della tempesta e strisciavano con persistente insolenza alle sue orecchie.
Il viaggiatore cercò di non pensare agli altri ospiti, la loro presenza metteva a dura prova il suo coraggio e la sua sanità mentale, e per coprire le loro voci spettrali, frantumò per terra le bottiglie che risultavano imbevibili. Il frastuono del vetro che andava in mille pezzi sovrastava i mormorii delle ombre, ma solo per un fugace e irrisorio istante, poi i sussurri riprendevano e la paura tornava a stringere il cappio intorno al suo cuore. Non si salvò nessuna bottiglia della collezione e, alla fine, l’orribile cacofonia dei fantasmi tornò a dominare ininterrottamente nel locale.
L’esile figura, che si era avvicinata a lui in precedenza, gli passò davanti con passo leggero e silenzioso, per poi scomparire nelle fitte tenebre che dimoravano negli angoli bui. Subito dopo, le note stonate di un vecchio pianoforte malandato emersero nella penombra, ammutolendo gli altri spettri presenti. Nonostante il suono giungesse alle sue orecchie distorto e sgradevole, il pistolero ne riconobbe subito la melodia e quando la giovane voce fanciullesca cominciò a cantare le parole di “Dolce Fiore”, una vecchia canzone della sua gioventù, non riuscì a trattenere le lacrime. La ragazza, o la sua ombra, non era una prostituta come aveva ipotizzato la prima volta che l’aveva vista: era in realtà la sua piccola dolce cuginetta Lily, il suo più grande rammarico.
I ricordi si susseguirono in un turbinio di immagini mute, che proruppero nella sua mente con la violenza di un fiume impetuoso: rivisse la sua vita a partire dall’infanzia, dove la vivacità della bimba lo aveva salvato dal dolore della solitudine, fino ad arrivare a quel terribile pomeriggio in cui il suo revolver le aveva rubato accidentalmente la vita.
Era fuggito dal rimorso, intraprendendo una strada di perdizione lastricata di pessime abitudini: gioco d’azzardo, alcol e prostitute; aveva condotto una vita criminale, con rapine e omicidi, tradimenti e solitudine. Tutto, per soffocare il suo dolore sotto una montagna di nefandezze che potesse distrarlo dalla sua colpa più grande. La fuga dalla legge aveva tenuto la sua mente occupata con futili timori, ma alla fine, era sempre solo scappato da se stesso.
Quella inattesa apparizione gli aveva riaperto gli occhi, che ora traboccavano di lacrime, e all’improvviso capì che aveva fallito in tutto, nella vita e nella morte.
Quando la canzone terminò, la tempesta era svanita e le ombre raccolte intorno a lei erano triplicate: sembrava che la bufera si fosse esaurita con l’ingresso nel saloon di tutti quei fantasmi. Sorrise amaramente, considerando che, dopotutto, non era vero che gli spettri non varcassero l’ingresso senza invito.
Lily si avvicinò con la solita grazia e si rivolse a lui con voce sottile, ma penetrante.
«E’ colpa tua!»
«Lo so… Perdonami, non volevo…»
«No»
«Ti prego…»
«No! Hai perpetrato il male in mio nome, sei oltre ogni redenzione. Quante vite hai portato alla rovina? Quanto dolore hai seminato?»
Il pistolero non rispose, la gola era asciutta e stretta. Faceva fatica a respirare e l’aria fuoriusciva dalla sua bocca in sibili e gemiti. Una pressione sulla trachea gli suggerì che aveva un cappio stretto al suo collo e sentì il panico pervaderlo in ogni fibra del suo essere. Era scappato dalla giustizia degli uomini, solo per affrontare quella dell’oltretomba.
Non ricordava come fosse finito sul bancone, con la testa legata a una fune appesa alla trave del soffitto. Forse la canzone aveva avuto un effetto ipnotico su di lui o forse era completamente impazzito e aveva perso il controllo del suo corpo.
Cercò inutilmente di liberarsi con le mani: le sue dita graffiavano la gola nel frenetico tentativo di allargare la presa della corda sul suo collo, ma ogni tentativo risultava ridicolo e inefficace. I suoi occhi rossi roteavano a destra e manca, alla disperata ricerca di aiuto, ma non trovarono nessuno disposto ad assecondare il suo desiderio di sopravvivenza.
«Li riconosci, adesso?» Chiese Lily rabbiosamente.
In punto di morte, il pistolero vide l’oscurità scivolare via, come un telo nero che viene rimosso per svelare cosa celasse sotto di esso, e riconobbe con orrore tutti i volti che aveva davanti, nessuno escluso: erano coloro che avevano avuto la sventura di incrociare il suo cammino e di perire per mano sua. Erano una moltitudine, ciascuno con dipinto sul viso un’espressione di odio e disprezzo. Il loro sguardo non tradiva alcuna pietà e annunciava il crudele verdetto della giuria spettrale. Ad un cenno perentorio di Lily, il condannato a morte fece un passo nel vuoto, contro la sua volontà, precipitando verso l’oblio e la libertà che cercava, ma che aveva sempre rifiutato con codardia.
La corda si tese e la sua vita si spense, reclamata dal rimorso impenitente.