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La vendetta del rimorso – Parte 2

«Non entra qui dentro» disse il pistolero riferendosi alla tempesta, indicando col pollice alle sue spalle. Era più un’affermazione che una domanda, pronunciata con il deliberato scopo di rompere il ghiaccio.
«No, gli spiriti non entrano nei luoghi chiusi se non invitati. È risaputo!» Replicò qualcuno alle sue spalle, con una voce cavernosa e divertita che suonava familiare alle sue orecchie.
Il viaggiatore estrasse velocemente il revolver con la mano sinistra, girandosi di scatto verso colui che aveva pronunciato quelle parole. Un altro individuo, celato dall’oscurità, comparve davanti a lui: sedeva ad un tavolo impolverato, con una bottiglia davanti a sé e un bicchiere tra le dita.
Strizzò gli occhi incredulo: era confuso e incapace di capire cosa stesse succedendo. Era sicuro che non ci fosse nessuno nel saloon, quando aveva varcato l’ingresso: che la sua vista fosse stata ingannata dalle tenebre e il suo udito dal furore della tempesta? O semplicemente il sole di quel pomeriggio gli aveva bruciato il cervello provocandogli delle allucinazioni?
Sondò l’oscurità con occhi attenti e vide che il locale era pieno di vita: nello spesso buio della locanda si muovevano le ombre di quelli che dovevano essere avventori abituali e prostitute. Le loro voci si diffondevano nell’aria come un mormorio indefinito, un chiacchiericcio di sottofondo appena percettibile, coperto dalla furia della tempesta che imperversava all’esterno.
Una sagoma minuta si avvicinò con passo leggiadro, come se fluttuasse nell’aria, gli accarezzò delicatamente il braccio costringendolo a voltarsi verso di lei e lo osservò intensamente negli occhi, ma il suo sguardo si perse nell’oscurità. Gli parve di vedere un sorriso distendersi sulle sue labbra, ma non ne era sicuro; il buio era fitto e celava tutto in un velo di tenebra. L’ombra di quella che doveva essere una meretrice si allontanò con le stesse movenze aggraziate con cui si era accostata a lui, girovagando tra i tavoli in cerca di altre prede.
Non avvertendo minacce, il pistolero fece roteare il revolver sul suo indice sinistro e lo rinfoderò con un movimento fluido e sicuro, che tradiva una pericolosa confidenza con il suo ferro.
«Buono a sapersi» disse con voce incerta all’uomo che gli aveva rivolto la parola, poi riportò la sua attenzione sull’oste e si avvicinò al bancone.
«Usate lasciare i vostri clienti nelle tenebre, signore?» Chiese dandosi un’ulteriore sistemata. «Non è possibile accendere i lumi?»
L’ombra davanti a lui rimase immobile, come se lo stesse fissando intensamente, ma in quel buio il pistolero non ne era sicuro, poteva solo leggere i movimenti e la postura della sagoma oscura.
I cigolii e gli scricchiolii dell’edificio di legno accompagnavano il tintinnio del lampadario, che oscillava apaticamente senza sosta, e gli ululati e i fischi del vento, che penetrava con forza tra gli infissi e le fessure, generavano spifferi gelidi.
In quella cacofonia allo straniero parve di sentire il sibilo dell’aria che passava tra i denti e le labbra del locandiere, fuggendo in un sospirato fastidio. O forse se l’era immaginato? Di sicuro udì lo stridore sommesso del fiammifero, che grattò su una superficie ruvida, e il fischio sottile della fiamma, che prese vita in quell’attimo di sconcerto sensoriale.
Il tenue bagliore si fece largo nell’oscurità, rivelando, con luce tremolante, il volto dai tratti duri e ostili dell’uomo dietro il bancone. L’oste lo fissava con occhi glaciali e un sorriso sgradevole, che faceva sfoggio di una orribile dentatura segnata dalla malattia e da uno scarso igiene.
All’aumentare dell’intensità della luce il corpo dell’uomo si faceva sempre più etereo, fino a scomparire, lasciando la fiammella a divorare il segmento di legno nell’aria. Quando il fuoco si estinse e l’oscurità tornò al suo posto, ricomparve l’ombra terrificante dell’oste.
Quell’abominevole sequenza di immagini durò un secondo, ma fu sufficiente per riempire di terrore il cuore del fuggitivo. Sentì le sue gambe divenire poltiglia e cedere sotto il peso di quell’orrore, facendolo cadere a terra. La sua bocca paralizzata non proferì parole coerenti, solo versi incomprensibili attraverso i quali si manifestava tutto il suo sgomento.
Non riusciva a credere ai suoi occhi, eppure davanti a lui e tutto intorno a lui, si muovevano spettri dell’altro mondo. Rifiutava quell’idea folle, ma più la rigettava, più diveniva una certezza.
«Sono morto? Questo è l’inferno?» Chiese il pistolero faticosamente, balbettando le sue parole in un estremo sforzo di riprendere il controllo di se stesso. Ancora seduto a terra, sentiva il sudore gelido strisciare sul suo corpo, facendolo rabbrividire col suo tocco glaciale.
Nel saloon, gli spettri cominciarono a ridere di lui e le loro voci divennero così forti da assordare il viaggiatore e ammutolire la tempesta, che non accennava a placare la sua furia.
«Non sei morto, ragazzo. Non ancora.» Sibilò il fantasma seduto al tavolo, sorseggiando quella che doveva essere l’ombra di un liquore evaporato da tempo.
Il pistolero lo guardò allibito, gli sembrava di aver riconosciuto la sua voce roca la prima volta che aveva parlato, ma aveva rigettato quell’intuizione definendola assurda; tuttavia, alla luce dell’ultima rivelazione, non poté ignorare la realtà dei fatti.
«Tu sei…»
«Proprio io, ragazzo. Mi hai freddato a tradimento, mentre mio fratello veniva maciullato dall’altra parte della tenuta. Siate maledetti due volte, tu e la tua puttana, vile codardo che non sei altro!» L’ombra si alzò di scatto lanciando il bicchiere a terra, prima di tirare fuori il suo revolver.
Il pistolero si ritrasse spingendo con le gambe, strofinando il sedere sulle assi sporche. Il suo passaggio lasciò una strisciata sul pavimento, aprendo un solco sul tappeto di polvere secolare.
Cercò di estrarre la sua pistola, ma si sentiva lento e impacciato: il panico lo aveva reso un incapace alla mercè dello spirito vendicatore.
L’ombra lo sovrastava in tutta la sua altezza, allungando su di lui la sagoma oscura della morte. Armò il cane e fece fuoco. Ripetè l’operazione tre volte, prima di svanire nelle tenebre, mentre la vittima affrontò il suo triste fato ad occhi chiusi, proteggendosi allungando le braccia verso l’assassino spettrale. I colpi lo trapassarono, ma non gli aprirono ferite sul corpo.
Il cuore batteva impazzito nel suo petto, riempiendo la sua testa col suo pulsare folle e frenetico. Pensò che avrebbe ceduto di lì a breve, ma con un profondo sospiro realizzò che era ancora vivo e incolume, scongiurando un infarto imminente.
Si tastò il torace, per assicurarsi che fosse davvero sopravvissuto poi, ancora esterrefatto, si rialzò in piedi. Dove prima c’era la sua vecchia conoscenza, ora c’era un posto vuoto. Si avventò sulla bottiglia, per affogare il panico con quel liquore scadente, ma quando ne rovesciò il contenuto nella sua gola asciutta, fu sommerso da un fiume di sabbia e polvere. Sputò la terra tra rantoli e colpi di tosse, poi lanciò un’imprecazione frantumando il contenitore di vetro per terra. Frammenti irregolari si sparsero sul pavimento con un gran fragore, disseminando il suolo di cocci e detriti acuminati.
Si avvicinò al bancone, disintegrando i pezzi di bottiglia sotto la suola dei suoi stivali. Il suo corpo fremeva, scosso da brividi di rabbia e paura, mentre il suo sguardo stralunato inquadrava l’oste immobile e silenzioso dietro il bancone.
«Dammi qualcosa da bere, figlio d’una baldracca!» Ruggì tremando.
Il locandiere rimase immobile per qualche secondo, come se studiasse la situazione, poi prese un bicchiere da whisky, lo portò sotto la cintola e ci urinò dentro, dopo essersi sbottonato le brache. Si allacciò i pantaloni e gli servì da bere: il bicchiere era quasi pieno fino all’orlo.
«Ecco a te, offro io.»> Gracchiò l’oste severamente.
Il pistolero sfoderò un mezzo sorriso, bloccato tra l’incredulitá e il disgusto. Il panico aveva lasciato posto alla rabbia e all’indignazione.
«Come osi? Ti riempio di piombo, bastardo senza Dio! Spettro o non spettro!»
«Accomodati, figlio di puttana. Non ho altro da offrire a un vigliacco, tre volte codardo come te: hai ucciso il sangue del tuo sangue, hai risparmiato chi dovevi ammazzare e hai freddato un tuo fedele compagno. Non meriti altro che dolore per la tua infamia!»
Per tutta risposta, il viaggiatore estrasse il revolver e premette due volte il grilletto, facendo esplodere il bicchiere e una delle bottiglie che giaceva sullo scaffale dietro al locandiere. Com’era successo a lui, il proiettile aveva attraversato il fantasma, senza scalfirlo.
«Non puoi uccidere ciò che è già morto, Adam Crow.» dichiarò l’ombra con macabra convinzione, poi svanì nelle tenebre, come aveva fatto l’altro spettro.