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La lettera

Il fuoco crepitava nella radura, lambendo il cielo scuro tempestato di stelle con le sue fiamme sinuose, mentre una sottile colonna di fumo serpeggiava verso il sorriso luminoso della luna.
Il cavaliere sedeva lì vicino, rigirando tra le dita una vecchia lettera sgualcita e consumata. L’inchiostro rosso, con cui erano vergate le parole, era sciupato, ma ancora perfettamente leggibile:

“…Ovunque tu sia, chiunque tu sia non c’è più tempo, il male cammina tra noi…”

Lesse distrattamente quel passaggio per la centesima volta, assorto in cupi pensieri.
«Cosa leggete, mio signore?» Chiese Alrick, il suo scudiero.
L’uomo alzò lo sguardo verso il ragazzo e parve vederlo per la prima volta dopo tanto tempo, come se si fosse destato da un lungo sonno. Era un giovane smilzo e dinoccolato, con una folta chioma color carota e un viso che sembrava un campo di battaglia, assediato com’era da foruncoli e lentiggini.
«Questo?» Domandò, sollevando la mano destra, che stringeva tra le sue dita il foglio di carta stropicciato.
Alrick si limitò ad annuire, mentre depositava la legna, che aveva raccolto per il fuoco, accanto al focolare. Si era già occupato dei cavalli, che brucavano il prato assicurati ad un albero lì vicino, e dell’armatura, che giaceva lucidata accanto a loro, riflettendo i bagliori rossastri delle fiamme; ora si appropinquava a preparare la cena.
«E’ una richiesta di aiuto, che non possiamo ignorare…» Continuò il cavaliere abbassando la mano e fissando il fuoco. La sua voce cavernosa si era spenta in un sussurro, come se la notte ne avesse carpito l’energia.
Lo scudiero capì che il suo signore era indeciso sul da farsi: era chiaro che il dovere gli imponesse di cimentarsi nell’impresa, ma la sua volontà non era in sintonia con l’obbligo cavalleresco.
«Posso vederla?» Chiese Alrick protendendosi verso il suo signore, ma lui scansò la sua mano colpendola con uno schiaffo, mentre indicava il focolare con l’altra.
«Prepara la cena, piuttosto… Questi affari non ti riguardano!»
Alrick cucinò risentito, domandandosi dove il cavaliere avesse recuperato quella missiva: erano sulla strada da giorni e, a parte il mercante che avevano aiutato contro il bandito, non avevano incontrato anima viva. Nessun messaggero, nessun piccione viaggiatore.
Consumarono il pasto in silenzio, poi il cavaliere gli porse la lettera.
«L’ho trovata sul cadavere del farabutto.» Disse, riferendosi allo scontro di quel pomeriggio, senza aggiungere altro.
Lo scudiero afferrò avidamente il pezzo di carta e lo aprì tra le sue dita sottili, in modo che la luce danzante del fuoco illuminasse le parole scritte sul foglio.
«E’ sangue?» Chiese con gli occhi sgranati dal disgusto e dallo stupore, quando vide i caratteri scritti in rosso.
«E’ possibile, almeno a giudicare dal contenuto della lettera» rispose il cavaliere, trattenendo un sorriso per la reazione esagerata del moccioso. «Cosa ne pensi?» Gli chiese, osservandolo sottecchi.
Alrick non replicò, concentrato com’era nella lettura. Il suo signore gli aveva insegnato a leggere e a scrivere, ma faceva ancora fatica a interpretare le parole e la sua lettura risultava lenta e incerta.

“Sono l’unico sopravvissuto del ratto delle ancelle e scrivo questa lettera per chiedere il tuo aiuto, non per avere salva la mia vita, che ormai è spacciata, ma per proteggere il mondo dal male. Ho trovato un rifugio, in quest’isola maledetta, i miei aguzzini mi cercano e alla fine mi troveranno, ma fino a quel momento scriverò la mia storia, affinché tu possa mettere in guardia il Tempio e radunare le forze di Dio… Ovunque tu sia, chiunque tu sia non c’è più tempo, il male cammina tra noi…
I pirati hanno rapito le nostre sacerdotesse e noi, stolti, siamo partiti al loro inseguimento. Partimmo tutti volontari, per quella che doveva essere una mera missione di salvataggio, ma quello che ci trovammo ad affrontare era tutt’altro che una ciurma di squinternati. Scoprimmo solo in seguito che i pirati erano in realtà mercenari al soldo dei cultisti di Adamath: se lo avessimo saputo prima, avremmo pianto le nostre sacerdotesse in patria, lasciandole al loro triste fato; ma noi non lo sapevamo e, guidati da Markian, abbiamo preso le nostre armi, zappe e falci, e ci siamo imbarcati.
Eravamo in diciotto: sani, forti e giovani. La rabbia ci spingeva a vogare con ferocia, dovevamo raggiungere i pirati prima che vendessero le nostre donne come schiave. Li raggiungemmo, ma non eravamo pronti a pagare il prezzo che il destino infausto ci avrebbe richiesto.
La loro nave era attraccata al largo della spiaggia, non c’erano vedette sul ponte.
Ci intrufolammo sull’imbarcazione nella speranza di trovare le nostre sacerdotesse, ma non fummo così fortunati: delle prigioniere non vi era traccia. Al loro posto trovammo due sodomiti, li sorprendemmo giacere come bestie. Promettemmo loro di avere salva la vita, in cambio di informazioni, ma appena ci dissero ciò che volevamo sapere, Markian ci ordinò di massacrarli e noi, che Dio ci perdoni, lo facemmo, senza esitazione e senza pietà: meritavano di morire per ciò che avevano fatto.
Abbandonammo la loro nave, immergendoci in mare per non farci vedere dai pirati stanziati sulla spiaggia. Gli tendemmo un agguato: erano a malapena una decina e li facemmo a pezzi, non senza perdere un paio dei nostri. I più fortunati… Che le loro anime coraggiose possano trovare pace nell’aldilà…
Ci inoltrammo nel bosco: volevamo impedire che le ancelle giungessero alla fortezza nella palude, ma arrivammo tardi. Al contrario di quello che ci era stato detto dai pirati, non c’era una roccaforte, ma solo delle rovine pagane.
La vista di quell’altare e di quelle statue diroccate avrebbe dovuto metterci in guardia, ma il sole era calato oltre l’orizzonte e l’oscurità della boscaglia, scarsamente illuminata, ci ha tratto in inganno. Pensavamo si trattasse di un accampamento di fortuna, invece si trattava di un rituale empio… C’erano il cerchio, i sacrifici e i discepoli di Adamath, ma noi vedevamo solo un gruppo di sicari e le nostre donne imprigionate.
Uscimmo dalla linea degli alberi e ci lanciammo contro il nemico tra urla indemoniate, minacciando loro orrori ai quali non sarebbero fuggiti. Pensavamo di essere noi i carnefici: la mano che avrebbe compiuto la vendetta di Dio, ma i fatti che seguirono ci dimostrarono il contrario. Non eravamo gli esecutori della volontà divina: eravamo sacrifici per le creature delle tenebre, condannati, come bestiame al macello.
I pirati offrirono una scarsa resistenza, alcuni fuggirono nella boscaglia, ma riuscirono comunque a trattenerci quanto bastava affinché gli accoliti di Adamath compissero il loro rituale blasfemo… Le loro voci, i loro canti… I loro inni alla follia rimbombano ancora nella mia testa, scuotendo la mia anima e divorando il mio cuore… I fuochi delle fiaccole danzavano nell’oscurità come spiriti dell’oltretomba, le lame dei cultisti, ricurve come le zanne dei serpenti, rilucevano alla pallida luce della luna e le urla delle nostre sacerdotesse rimbombavano tra le rovine dimenticate…
Il terrore si impossessò di me, abbandonai la mia falce e corsi via, inseguito da un frastuono raccapricciante e il coro disperato dei miei compagni e dei pirati, che venivano trucidati in nome di dei pagani… I figli di Adamath erano tra noi e si cibavano dei nostri corpi e delle nostre anime… Che Dio abbia pietà di noi…
Ora che sai la storia, spero tu abbia la forza di fare ciò che va fatto… Ovunque tu sia, giungi presto, prima che il male si rafforzi… Con il mio sangue e il mio spirito, c’è in gioco il destino del mondo…”

«Ordunque?» Incalzò il cavaliere, quando il ragazzo staccò gli occhi dal foglio e li posò su di lui. Un fremito tradì i suoi brividi, mentre le fiamme del fuoco illuminavano il suo viso con mutevoli ombre scarlatte.
«Non è firmato, non c’è la data o un’indicazione precisa di dove siano state portate le sacerdotesse. Non sappiamo nemmeno dove si è nascosto il fautore di questa!» Esclamò Alrick sventolando istericamente la lettera. «Tutto questo potrebbe essere accaduto tanto tempo fa e lui potrebbe essere ovunque, se non già morto…» Liquidò la faccenda con una scrollata di spalle, fingendo di ricomporsi, poi porse la lettera al suo signore «…ma siete voi il cavaliere, spetta a voi decidere»
«E se per una volta potessi scegliere tu che battaglia combattere? Cosa sceglieresti?»
«Potrebbe essere una trappola, dopotutto la lettera è stata recuperata dal corpo di un bandito. Io la brucerei e continuerei per la nostra strada…»
«Potrebbe essere una trappola, è vero, oppure potrebbe essere il destino che ci chiama…»
Il guerriero sospirò e prese la lettera. Alrick non era del tutto sicuro di cosa andasse cercando il suo signore. Si chiese cosa si aspettava da lui, forse un’altra risposta, ma quale che fosse la verità, a lui sfuggiva.
«Ora vai a dormire. Domani dobbiamo svegliarci alle prime luci dell’alba.»
Il ragazzino si avvolse nel mantello e diede le spalle al fuoco, cercando di prendere sonno. Il contenuto della lettera lo aveva turbato più di quanto potesse immaginare. Adamath era uno dei demoni più potenti. Se le parole scritte col sangue erano vere, il mondo era sul baratro della rovina…
Il cavaliere rilesse la lettera: era suo dovere combattere il male ovunque esso si annidasse, lo aveva giurato davanti all’effige di Dio, ma quella missiva non dava indicazioni utili. Se ne rallegrò e si sentì un codardo per questo, poi gettò il foglio in pasto alle fiamme, come gli aveva suggerito il ragazzo.
La carta si accartocciò sfrigolando, alcune scintille presero il volo e si persero nel fumo nero. Di quelle parole rosse, che annunciavano l’avvento del male, non rimase che un brutto ricordo e il miserabile, che aveva affidato al fato il suo avvertimento, fu dimenticato nel giro di una notte. Il male camminava nel mondo e per il cavaliere non era una novità: lo combatteva ogni giorno.