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La maledizione dello scrittore

Quando aprì gli occhi, la sua camera da letto era inondata da una luce soffusa che penetrava tra le listarelle delle imposte. Il sole era sorto e lo svegliava dolcemente col suo tepore primaverile.
Allungò il braccio alla sua destra e afferrò il telefono che giaceva silenzioso sul comodino, accese lo schermo e lesse l’ora strizzando gli occhi, non ancora avvezzi a quella intensa luminosità. Erano quasi le nove. Sbuffò, passandosi una mano sulla faccia addormentata: era dannatamente presto per essere sabato, ma si era svegliato, ormai, e non riusciva più a tornare indietro: il mondo dei sogni gli era precluso fino al nuovo calar delle tenebre.
Osservò sua moglie sdraiata alla sua sinistra, che dormiva profondamente, scomposta nella sua metà del letto. Le sorrise e uscì dalla stanza, senza fare troppo rumore per non rischiare di svegliarla. Sbirciò dal corridoio i bambini, che dormivano tranquilli e beati nella loro cameretta, poi scese al pianterreno dopo aver espletato le formalità mattutine al gabinetto.
Accese il computer nell’oscurità dello studio e la luce del monitor inondò la scrivania, spazzando le tenebre come un’apparizione divina e proiettando ombre tutt’intorno. La macchina protestò sommessamente, con un ronzio faticoso che manifestava tutta la sua vecchiaia e il suo disappunto. Sapeva che avrebbe dovuto prenderne uno nuovo, ma quel ferro vecchio era costato molto caro ai suoi tempi e, per giustificare la spesa, lo avrebbe utilizzato fino a che non fosse giunta la sua ora.
Mentre aspettava che l’accensione fosse ultimata, si recò in cucina, preparò la moka e mise il caffè sul fuoco. Eseguì tutte le operazioni con calma e molta cura, come un rituale propiziatorio di inizio giornata, il tutto nella penombra di una casa addormentata.
Consumò la colazione davanti al computer, sorseggiando la bevanda mentre leggeva le notizie e consultava i social media: come al solito non trovò nulla di interessante.
Appoggiò la tazzina sulla scrivania e aprì il foglio di lavoro: doveva produrre qualcosa, ma non aveva idee. Soffriva da due mesi del blocco dello scrittore e desiderava con tutte le sue forze spezzare quella nefasta maledizione.
Ogni volta che trovava un soggetto su cui sviluppare una storia, gli mancavano le parole e l’ispirazione. Quest’ultima si comportava come un folletto dispettoso: svaniva sempre nel momento del bisogno e appariva quando era meno opportuno. Era frustrante e doloroso.
Il foglio bianco riempiva lo schermo che aveva davanti, brillando come una stella nell’oscurità con la sua fastidiosa luce bianca. I suoi occhi si erano ormai abituati, quindi guardò quella sorgente luminosa dritta in faccia, in un gesto di sfida dal quale trapelava la sua determinazione a contaminarla con i caratteri che avrebbero composto le parole del suo racconto.
Portò le mani sulla tastiera e cominciò a scrivere, senza avere in mente un’idea o una trama, come se fosse sotto l’effetto di un’ipnosi. Le dita correvano velocemente sui tasti, guidate da un’ispirazione che giungeva dai recessi più profondi del suo subconscio. Stampava lettere e punteggiature con sicurezza, dando vita a una storia che si scriveva da sola.
Il ticchettio folle dei pulsanti pigiati freneticamente rimbombava nella penombra, rifugiandosi nell’oscurità. Il rumore pareva assordante nel silenzio, ma il pensiero di svegliare il resto della famiglia non lo sfiorò minimamente: il processo creativo era in corso e non poteva essere interrotto per nessun motivo.
Quando concluse il racconto con l’ultimo punto, emise un sospiro di sollievo e si stiracchiò sulla sedia, abbandonandosi sullo schienale e tirando le braccia sopra la testa.
La soddisfazione lo pervadeva, rendendolo molle e inerme sulla seggiola. Un sorriso beffardo comparve sul suo volto compiaciuto: la maledizione era stata spezzata.
Mentre rileggeva la sua opera, per correggere gli errori di battitura e sistemare le frasi che potevano essere modellate meglio, udì i tintinnii della colazione che giungevano dalla cucina. Si alzò, uscì dallo studio e raggiunse sua moglie, per darle la buona novella.
La luce del sole penetrava dalle finestre, riempiendo il locale di colori e vita.
Salutò velocemente i bambini che mangiavano al tavolo, cinse la cuoca alle spalle in un tenero abbraccio e le diede un bacio sulla nuca. Le prese la mano, la fece voltare e la guidò nello studio ancora buio, senza dire una parola, rapendola come fece Ade con Persefone.
Carla sospirò contrariata, entrando nella piccola stanza illuminata solo dal computer: odiava il fatto che suo marito non accendesse mai la luce o non aprisse mai le imposte, neanche fosse un vampiro, ma in questa occasione evitò la discussione, per preservare il suo buonumore. Da quando era caduto vittima del blocco dello scrittore, era diventato triste, scontroso e insopportabile: una presenza sgradevole e antipatica.
Lui la fece sedere alla sua scrivania e le ordinò di leggere, con un gran sorriso sulle labbra. Sua moglie capì subito di cosa si trattava ed evitò di sbuffare: era curiosa, ma avrebbe preferito decidere lei quando dedicarsi alla lettura, aveva una montagna di faccende da sbrigare e assecondare il marito non era una priorità. Ingoiò il rospo, per non rovinare una giornata che era cominciata sotto il segno benevolo di una luna favorevole, e cominciò a scorrere con gli occhi le parole stampate sul foglio digitale.
Lo scrittore cominciò a camminare nervosamente in circolo per la stanza, mentre lei leggeva il suo racconto. L’agitazione lo manovrava come un burattino, il periodo di magra creativa che aveva attraversato aveva minato seriamente la sua sua autostima: avrebbe potuto giurare che fosse la sua opera migliore, ma il verdetto finale spettava solo a sua moglie.
«E’ bello, è scritto bene. Sono contenta che tu ti sia sbloccato, finalmente!» Esclamò contenta, senza troppo entusiasmo, ma manifestando un genuino apprezzamento per la piccola opera.
Suo marito si aspettava una reazione più energica: un “complimenti, è un capolavoro!” magari con un applauso ad accompagnare quelle parole, ma non si fece deprimere dalle illusioni disattese. L’impresa era riuscita, la maledizione spezzata: non poteva certo lamentarsi. Eppure, alle belle parole di sua moglie, qualcosa di negativo aveva preso forma nella sua mente, un’idea sbagliata dai contorni indefiniti che minacciava di rovinare tutto. La sgradevole sensazione, scaturita da una consapevolezza inconscia che si rifiutava di manifestarsi, lo pervadeva in ogni fibra del suo essere, turbando il suo buonumore e nutrendosi della sua euforia.
Aveva già provato quell’orribile sentimento di disagio, in passato, quando aveva inavvertitamente plagiato un commento divertente su un forum, rendendosene conto solo in un secondo momento. Cercò di fare mente locale, torchiando la sua memoria alla ricerca di un ricordo che potesse giustificare quello spiacevole turbamento, ma nonostante i suoi sforzi, la sua coscienza lo tradì.
Sbuffò indispettito, cercando di scacciare quell’opprimente presentimento con una scrollata di spalle.
«Lo mandi a Nicola?» Chiese sua moglie, aiutandolo a spezzare l’incantesimo maligno che aveva ghermito la sua serenità.
«Sì, glielo mando subito. Sarà contento di sapere che sono tornato a scrivere.» Rispose lo scrittore.
Quando sua moglie uscì dallo studio per tornare alle sue faccende, lui riprese posto sulla sedia davanti al computer. Preparò l’e-mail da inviare al suo editore, ma si limitò a salvare la bozza, senza spedirla: doveva prima venire a capo del maligno presentimento che lo tormentava e riportare la pace nel suo animo.

Il weekend trascorse tranquillo e piacevole, ma i giorni successivi furono messi a dura prova dallo spettro che lo divorava dall’interno. Il pensiero di aver scritto un’opera non sua era sempre presente, celato dietro alle riflessioni che vorticavano nella mente di un uomo intento a vivere la sua vita quotidiana, come uno squalo che nuota lentamente intorno alla sua vittima sotto la superficie del mare, ma quando riaffiorava, lo faceva con la violenza del predatore che azzanna la sua preda. In quei momenti il magone lo travolgeva come una valanga, privandolo del sorriso e della gioia del momento. Ripensava a dove poteva aver visto quello che aveva trascritto, senza mai venire a capo del suo turbamento. Più si arrovellava, più si arrabbiava. La frustrazione lo tormentava, portandolo a maledirsi e a compatirsi. Non riusciva a darsi pace, incolpando prima il blocco dello scrittore poi quella ingiustificata sensazione di colpevolezza.
Non riusciva a liberarsi dei suoi demoni e, più passava il tempo, più tornava a essere lo scontroso e insopportabile essere che era stato durante i mesi di bonaccia artistica.
Sua moglie non capiva il suo malessere e, di tanto in tanto, gli chiedeva cosa lo turbasse, ma non riceveva mai una risposta soddisfacente, solo grugniti e borbottii incomprensibili a cui seguivano, quando non era disposta a tollerare quei capricci, delle furiose discussioni che portavano al pianto i loro bambini.
Lo scrittore era piano piano piombato in un abisso di insoddisfazione, che gli impediva di accettare il suo lavoro e di scriverne di nuovi. Ogni tanto il suo editore si faceva sentire, chiedendogli se aveva qualcosa che potesse pubblicare, ma lui prendeva tempo dicendo che aveva tra le mani qualcosa di buono, ma che era ancora acerbo.
Una sera, mentre sua moglie preparava la cena, si sedette sul divano con i suoi bambini e guardò con loro un vecchio cartone animato, che stavano trasmettendo in un canale televisivo locale. Lo riconobbe subito dalle prime immagini, quando era piccolo lo guardava sempre e ora erano i suoi figli a vederlo. Lo riguardò con piacere, per distrarsi e concedersi una risata, il cui eco riverberava dal suo passato.
Una miriade di ricordi esplose nella sua mente, man mano che l’episodio procedeva verso l’epilogo, lasciandolo di stucco dallo stupore. Una scena dietro l’altra, riconobbe il suo racconto, così fedele al prodotto originale. Alla fine venne alla luce ciò che si era nascosto così tanto abilmente nella sua mente, tormentandolo per giorni e notti intere.
La storia che aveva scritto non era stata partorita dalla sua fervida immaginazione, ma dalla sua memoria più remota. Alcune dinamiche e alcuni dettagli differivano, ma gli eventi erano terribilmente identici a quelli mostrati nell’episodio.
Sprofondò nel divano, schiacciato dallo sconforto, ma sgravato del pesante fardello che si portava dietro. La rivelazione che aveva appena vissuto aveva scacciato lo spettro del dubbio, confermando i vaghi sospetti che lo turbavano.
Accarezzò le testoline dei due monelli, che sghignazzavano alla sua destra e alla sua sinistra, poi si alzò con un sorriso mesto e si chiuse nel suo antro oscuro.
Accese il computer, archiviò il racconto maledetto come opera infausta e cominciò a scrivere la sua disavventura, deciso ad esorcizzare la sua maledizione mettendola nero su bianco.