Press "Enter" to skip to content

Insonnia

Era una tormentata notte di fine maggio, quella che vide Juliette Barbier, fare i conti con arcane forze a lei sconosciute.

Nonostante l’estate non fosse ancora sbocciata, il caldo era stranamente feroce, come se fosse giunto in anticipo rispetto alla stagione che normalmente accompagnava, e la città, con il suo cemento e il suo catrame, non aiutava a rendere più sopportabile questa anomala temperatura di fine primavera.
L’aria era assente nella camera da letto, nonostante le finestre fossero spalancate, e il caldo riempiva la stanza con la sua presenza intangibile e opprimente.
Juliette sentiva il sudore correre fastidiosamente sulla sua pelle chiara, scivolando verso il letto in rivoli umidi che, impregnando le lenzuola, disegnavano la sua impronta sul telo bianco, come una oscena e contorta replica della Sacra Sindone.
Una sgradevole sensazione tattile, che le faceva percepire la pelle appiccicaticcia come catrame fuso, era accentuata dai capelli corvini incollati sul viso, che la rendevano ancora più nervosa.
Sbuffò rabbiosamente, in preda a un silenzioso isterismo, manifestato attraverso un formicolio incontrollabile che alimentava i moti frenetici degli arti inferiori. Si rigirò ripetutamente nel letto, cercando di trovare una posizione che mettesse un freno all’immaginario brulicare di insetti sulle sue cosce, ma non ebbe successo.
La sua frustrazione dilagò in imprecazioni sussurrate e movimenti rabbiosi, che fecero cigolare il letto e sobbalzare il materasso. Sembrava un pesce fuor d’acqua, che si dibatteva nell’inutile lotta per la sopravvivenza.
La cosa che la faceva imbestialire di più, era la placida postura di suo marito, che giaceva tranquillo e beato al suo fianco, completamente immerso nel mondo dei sogni.
Il suo respiro, flebile e sommesso, trasudava il godimento di un sonno sereno, assolutamente scevro di tormenti e patimenti.
Juliette represse l’impulso di sfogarsi su di lui, consumando il suo irrazionale odio nei suoi confronti torturandolo tirandogli i peli del petto o strizzandogli un capezzolo.
Dopotutto, non era colpa di Oscar se lei non riusciva a dormire e non poteva prendersela con lui se non condivideva i suoi problemi. Era Morfeo da biasimare: lui l’aveva ripudiata e bandita dal suo regno, non il suo ignaro marito.
Si alzò mestamente e si concesse un bicchiere d’acqua rinfrescante, per esorcizzare la calura e conciliare il sonno, poi tornò a litigare con gli dei del sonno.
Quando rientrò in camera da letto, dei sussurri indecifrabili l’accolsero come il coro di un rituale arcano.
La voce di suo marito fluiva dalle sue labbra socchiuse in un mormorio irriconoscibile, come se fosse qualcun’altro a parlare con la sua bocca: sembrava il pupazzo di un ventriloquo, ma del burattinaio non c’era traccia. Rabbrividì, nonostante la temperatura non era calata di un solo grado da quando si era alzata, turbata dallo spettacolo in cui si stava esibendo il suo compagno di vita.
Le parole indecifrabili che aleggiavano nell’aria, parevano vocaboli sconosciuti di un idioma dimenticato: grottesche e aliene alle sue orecchie, le rievocavano immagini di vecchi film dell’orrore, dove il malcapitato posseduto dal demonio parlava una lingua maledetta con una voce infernale.
Lei non credeva in quei misticismi, eppure il pensiero la inquietava profondamente.
Pensò di svegliare suo marito, ma aveva paura ad avvicinarsi, c’era qualcosa di tremendamente sbagliato, una forza sconosciuta che traeva potere dagli insensati vocaboli pronunciati dal dormiente. Si sentì sciocca, eppure non trovò il coraggio per affrontarlo: era la prima volta che manifestava dei comportamenti simili.
La voce gutturale e trasfigurata di Oscar aumentava sempre di più di volume, ripetendo formule arcaiche fino a recitare ad alta voce il mantra antico. Più andava avanti, più diventava minaccioso e aggressivo.
A Juliette parve di sentire il vento sollevarsi d’improvviso, come il preludio di una violenta burrasca, e il cielo sereno tuonare lontano, come il borbottio molesto di un dio inviperito.
Vide suo marito mettersi seduto, con gli occhi sbarrati e lo sguardo fisso davanti a sé, come se guardasse attraverso una finestra che si apriva su un altro universo. Le smorfie grottesche e inquietanti che prendevano vita sul suo volto durante il rituale onirico, lo trasformavano in un orrendo estraneo agli occhi della moglie, paralizzata dalla paura.
Il cielo notturno scagliò lampi e saette, come se uno Zeus adirato stesse sfogando la sua furia, eppure non vi erano nubi nel firmamento stellato.
Qualcosa di oscenamente malvagio e folle si stava consumando davanti ai suoi occhi increduli e atterriti, mentre i suoi pensieri galoppavano selvaggi e fuori controllo, come una mandria di stalloni imbizzarriti.
Niente di razionale si palesò nella sua mente inquieta, solo orrori che potevano dimorare nella testa di un pazzo.
Si ritrovò a fare il segno della croce, nonostante fosse sempre stata un’atea convinta: la sua mano pareva godere di vita propria, mentre tracciava sul suo corpo madido di sudore l’antico gesto cristiano, trovando conforto tra le braccia di un Dio che aveva sempre ripudiato.
D’improvviso una flatulenza, insensibile al rituale onirico in corso, proruppe con violenza dal corpo immobile di Oscar, rumoreggiando in modo molesto e volgare.
Così com’era cominciata, la teatrale preghiera pagana cessò, divorata dal peto provvidenziale.
Oscar si sdraiò supino, poi saltò un paio di volte sul materasso, come un salmone che risale la cascata, trovando una posizione più comoda per continuare a dormire. I cigolii del letto accompagnarono quella danza sgraziata, come un’orchestra formata da musicisti stonati, poi lentamente i lamenti del giaciglio scemarono, calò il sipario e con esso il silenzio.
Niente più lampi nel cielo nero, niente più tuoni nell’aria placida.
La notte buia e silenziosa aveva ritrovato la quiete naturale. Niente di ciò che aveva visto o sentito sembrava essersi verificato, eppure Juliette era sicura che tutto fosse avvenuto esattamente come lo aveva percepito. Pensò di essere impazzita, ma forse era solo stanca, in ogni caso aveva sentito il tocco del male e l’orrenda consapevolezza l’aveva annientata.
Si accasciò a terra, strusciando contro lo stipite della porta, e rise. Rise di una risata isterica e irrazionale, incapace di discernere tra la follia e la realtà. Non le riuscì di trattenere le lacrime, che sgorgarono immotivate rigandole il viso.

Quella notte, Juliette, perse il sonno e probabilmente il senno, trovando al loro posto Dio e il Demonio.