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La morte è senza padrone

I tre arrivarono nel primo pomeriggio, durante l’ora della siesta.

Il sole splendeva ferocemente in una volta celeste priva di nubi e la calura che sprigionava era così intensa che sembrava volesse bruciare tutto il creato. La brezza marina che spirava da ovest non riusciva a mitigarlo, ma il suo fresco bacio leniva momentaneamente l’apatia e lo sfinimento.

Si presentarono all’ingresso della tenuta, in cima alla salita. Davanti a loro si apriva la lunga discesa che portava al mare, i raggi dorati del sole si aprivano a ventaglio sullo specchio d’acqua, generando fulgidi riflessi che saltavano da un’increspatura marina all’altra.
Sulla loro destra si trovava la stalla, recintata con un vecchio steccato di legno. C’erano pochi cavalli a oziare dentro la struttura e nessun guardiano in vista. Probabilmente stavano sonnecchiando insieme alle bestie che dovevano accudire: un’ottima occasione per portare via tutte le cavalcature, ma loro non erano lì per questo. Erano lì per assecondare un desiderio di altra natura, un capriccio che avrebbe condannato le loro anime impenitenti al fuoco eterno.

Il loro sguardo si spostò sulla sinistra, dove piccole capanne giacevano ai piedi della magione, che si ergeva alta e fiera alle loro spalle. Dei tre solo lui conosceva quel piccolo pezzo di mondo: ci era cresciuto e aveva imparato ad amarlo e ad odiarlo.

Fece un cenno ai due che lo accompagnavano e cominciarono la discesa verso l’inferno. I passi erano lenti, ma decisi. Gli speroni accompagnavano a ritmo cadenzato i loro movimenti, annunciando l’avvento della morte. Le armi in attesa tra le loro mani erano pronte a stroncare ogni anima vivente che si sarebbe palesata dinanzi ai loro occhi spietati. Indossavano il nero e viaggiavano col volto coperto.

Superarono le stalle e le capanne, non incrociarono anima viva. Sulla destra, proprio di fronte alla magione, si apriva un parchetto con una fontana al centro e una volta di rampicanti che offriva riparo dal sole crudele lungo tutto il perimetro. Sentirono delle voci, ma dalla loro posizione non furono in grado di vedere a chi appartenessero. Sembravano fanciulli e anziani, ma tra loro poteva nascondersi in silenzio la loro preda. Fece un cenno con la testa al sicario sulla sua destra e questo si dileguò nel parchetto. L’altro fu mandato tra le capanne, a chiudere dentro i mandriani a riposo e a verificare che la vittima della loro vendetta non si fosse rifugiata al loro interno.

Lui si avvicinò all’ingresso della magione, ma non vi mise piede, preferì fare il giro. Sapeva che a quell’ora poteva trovarvi solo gli anziani e lui non aveva alcun affare da sbrigare con loro. Era lì per dispensare morte, ma non a chi aveva già un piede nella fossa. Percorse il vicolo tra la magione e il quartierino delle capanne a passo svelto, tutti i sensi all’erta: non doveva mancare il suo bersaglio. Erano lì per una persona sola, non dovevano assolutamente sbagliare. Il suo cuore non avrebbe retto un fallimento.
Girò l’angolo sulla destra e si ritrovò nel viale posteriore, che separava la magione dalla locanda. Gli alberi disposti in fila lungo la strada garantivano un passaggio in ombra. Subito dietro l’angolo colse un movimento rapido, una lunga chioma persa nel vento. Ancora prima di rendersene conto, il suo dito indice aveva premuto il grilletto del revolver che stringeva nella sua mano destra. Esplose un tuono e con esso il petto della fanciulla che un attimo prima saltellava lì davanti.

Appena la pistola gridò la sua sentenza capì di essere un maledetto stolto. Era da sempre il ragazzo col riflesso migliore, la sua coordinazione mano-occhio non aveva eguali nella piccola cittadina di Agrofield e gli aveva sempre portato onori e glorie alle fiere di paese. Ma quella non era a una fiera di paese e la sua capacità gli aveva portato orrore e disperazione. Il suo cuore smise di battere per un secondo interminabile, giusto il tempo per memorizzare l’immagine della cuginetta scaraventata a terra, in un lago di sangue che prometteva di diventare un mare. In fondo alla via le signore della magione interruppero i loro pettegolezzi e cominciarono a gridare, impietrite sulle loro sedie a dondolo. Trattenne l’impulso di correre sull’esile corpo inerme che giaceva davanti ai suoi occhi, terrorizzato all’idea che le zie potessero riconoscerlo. Avrebbe dovuto dare spiegazioni, e lui non ne aveva. Non di razionali. Ma aveva il volto coperto: il cappello nero ben calcato sulla testa e la bandana a coprire il naso, la bocca e il mento. Non lo avrebbero riconosciuto. Si ridestò dall’incubo ancora in corso e ritrovò un barlume di ragione. Si girò sulla sua sinistra e la vide spuntare fuori come un fantasma che si rivela: la donna a cui era destinato il proiettile che aveva rubato la vita di sua cugina. I lunghi capelli biondi, fili d’oro splendenti alla luce del sole, e gli occhi azzurri, così chiari da sembrare diamanti. Lo stavano fissando, terrorizzati.

Il sudore gli imperlava la fronte e gli scivolava lungo il naso e le guance, fin sotto lo straccio nero che celava la sua identità. Il caldo era impietoso, il sangue gli infiammava le guance. La sua temperatura corporea era aumentata notevolmente, si sentiva bruciare. Le puntò contro il revolver, la canna non aveva ancora smesso di fumare. Senza ragione le fece cenno di scappare, aveva perso interesse per la sua vita. Lei non se lo fece ripetere due volte e scomparve nel retro della locanda. Quella fu l’ultima immagine che ebbe di lei.

Una serie di colpi esplosero dalle parti del parco e il terrore si impadronì di lui, tutto stava precipitando nell’abisso. Dovevano prendere un’anima, lui aveva preso quella sbagliata e qualcun’altro ci stava rimettendo la sua.

Alle sue spalle sopraggiunse il sicario che doveva controllare le capanne, era il più vicino a lui. Vide la ragazzina a terra e non fece domande, per lui il lavoro era concluso. Gli disse che dovevano recuperare il compagno nel parco, che probabilmente era in pericolo. Lui lo guardò con gli occhi grandi, colmi di lacrime e lasciò la parola alla sua pistola. Senza un fiato, solo con un boato, gli piazzò una pallottola in mezzo agli occhi. Scappò verso il parco della fontana, inseguito dalle maledizioni degli anziani nascosti nella magione e dal piombo sputato dai loro fucili. Sibili mortali lo accompagnarono prima di frantumarsi sulle pareti di legno delle capanne. Quando sbucò sulla discesa che portava alla spiaggia si trovò davanti la carcassa del compagno: era stato freddato alle spalle dal cecchino appostato sul balcone, mentre cercava la via di fuga.

Fece cantare il suo revolver altre tre volte per coprire la sua ritirata, costringendo il tiratore sulla terrazza a ripararsi dietro il cornicione. Quello rispose alla cieca una volta sola, ma mancò il fuggiasco.

Scappò a gambe levate, senza guardarsi indietro. Si allontanò verso la costa, nessuno lo seguì. Erano tutti rimasti alla tenuta a piangere la loro perdita.

Raggiunse la scogliera e ammirò il mare. Il sole stava andando a morire dietro l’orizzonte, lasciando alle sue spalle una scia di sangue arancio-rosa. Il suo sguardo cadde sulla pistola che aveva in mano. Nel tamburo giaceva in attesa l’ultimo proiettile e portava il suo nome.